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giovedì 29 settembre 2011

Manuale alla fotografia digitale: 6.2 messa a fuoco


La luce riflessa o emessa da ogni punto di un soggetto si irradia, e i raggi catturati dall’obiettivo della fotocamera sono proiettati sul piano focale e producono un’immagine capovolta e rovesciata. Il soggetto risulta nitido olo se i raggi luminosi si intersecano in maniera precisa sul piano della pellicola (il che si ottiene regolando la ghiera di messa a fuoco). Altrimenti, i raggi si registrano come macchioline e non come punti. Se l’immagine è abbastanza piccola, anche le macchioline possono sembrare nitide, ma più il piano focale si allontana dal piano della pellicola, più le macchioline registrate dalla fotocamera si allargano, fino a ottenere un’immagine irrimediabilmente sfocata.
Autofocus
Esistono principalmente due tipi di autofocus. Le fotocamere compatte usano un raggio infrarossi (IR) che esamina la scena quando si preme il pulsante di scatto. I raggi infrarossi riflessi più vicini e più forti sono rilevati da un sensore, che calcola la distanza del soggetto e imposta la fotocamera una frazione di secondo prima che l’immagine sia registrata.
Il secondo sistema è l’autofocus “passivo”. La luce riflessa dal soggetto è in parte campionata e scomposta, ma solo le zone dell’immagine a fuoco coincidono, ovvero sono “in fase”. La proprietà basilare di questo sistema è che le differenze di fase variano se il fuoco cade davanti o dietro il piano focale. Il sensore autofocus analizza la situazione e suggerisce all’obiettivo come muoversi per ottenere la messa a fuoco ottimale.
I dispositivi autofocus sono sofisticati, ma non infallibili, soprattutto in particolari situazioni:
  • Il sensore autofocus si imposta al centro dell’immagine, quindi se il soggetto non è al centro dell’immagine rischia di non essere messo a fuoco correttamente. In questo caso basta mettere a fuoco il soggetto quando è al centro dell’inquadratura premendo a metà il pulsante di scatto e solo successivamente cambiare inquadratura.
  • Se fotografate attraverso un vetro, i suoi riflessi possono confondere un sensore ad infrarossi.
  • Oggetti molto brillanti nella zona di messa a fuoco, come riflessi metallici, possono sovraccaricare il sensore e compromettere il risultato.
  • Fotografare al di là di oggetti vicini all’obiettivo, per esempio oltre a un cespuglio o tra i paletti di uno steccato, può confondere il sistema autofocus. 
  • È più facile mantenere a fuoco soggetti vicini in movimento impostando la distanza manualmente e di conseguenza regolando la propria posizione avanti o indietro.
  • Con soggetti che si muovono molto velocemente, è meglio impostare la messa a fuoco a una distanza predefinita e aspettare che il soggetto raggiunga il punto giusto per scattare.
Distanza iperfocale
L’impostazione della messa a fuoco sulla distanza iperfocale garantisce la massima profondità di campo disponibile alle diverse aperture. La distanza iperfocale è la minima a cui un oggetto risulta ancora nitido con l’obiettivo regolato su infinito. Più il diaframma è aperto, più la distanza aumenta. Con le fotocamere con messa a fuoco solo automatica non si può intervenire manualmente, mentre una fotocamera manuale impostata sulla distanza iperfocale garantisce di avere tutto a fuoco nella fascia più ampia consentita dall’obiettivo.



Effetti dell’apertura del diaframma
Il motivo principale per cui si cambia l’apertura del diaframma è per poter regolare l’esposizione. Infatti con un’apertura più piccola si restringe il raggio di luce che attraversa l’obiettivo. L’apertura influenza però anche la profondità di campo. Impostando un’apertura più piccola, il cono di luce che attraversa l’obiettivo si assottiglia. Di conseguenza, anche se non perfettamente a fuoco, la luce dal soggetto non si propaga come farebbe con aperture più larghe e gran parte della scena nel campo visivo risulta a fuoco. L’illustrazione mostra come, a parità di lunghezza focale e di  distanza del soggetto, la profondità di campo con un’apertura a f/2.8 sia appena sufficiente per mettere a fuoco la figura, a f/8 aumenta a 2 m e a f/22 si estende da 1,5 m all’infinito.
Effetti della lunghezza focale
La variazione di profondità di campo legate alla lunghezza focale sono dovute all’ingrandimento dell’immagine. Con la figura a distanza costante dalla fotocamera, una lunghezza focale lunga (135 mm) la registra con una dimensione più grande di un obiettivo standard (50 mm), il quale, a sua volta, permette di ottenere un’immagine più grande di un grandangolare (come per esempio un 28 mm).  Per il nostro occhio, la dimensione della figura resta la stessa, però per il sensore o la pellicola, le sue immagini variano in funzione alla focale dell’obiettivo. Se i dettagli nell’immagine sono più piccoli è più difficile capire dove sono nitidi e dove no. Come effetto, la profondità di campo sembra maggiore. Al contrario, le lunghezze focali più elevate ingrandiscono l’immagine e nello stesso modo ingrandiscono le differenze di messa a fuoco, per cui la profondità di campo si riduce notevolmente.
Effetti della distanza di messa a fuoco
Due fattori contribuiscono alla grane riduzione di profondità di campo via via che la distanza dal soggetto diminuisce, pur restando invariate lunghezza focale e apertura. Il primo fattore è dovuto all’ingrandimento dell’immagine: mentre la figura riempie sempre di più l’inquadratura, anche piccole differenze in profondità del soggetto implicano piani di messa a fuoco diversi. In effetti si deve lavorare di più con l’obiettivo per mettere a fuoco soggetti lontani. Il secondo fattore, meno evidente ma importante, è che la lunghezza focale effettiva aumenta leggermente quando la lente dell’obiettivo è più distante dal piano focale, quando cioè si mettono a fuoco soggetti ravvicinati.

lunedì 26 settembre 2011

Concorso fotografico

Ciao a tutti sto partecipando a un concorso fotografico, non è che chi di voi ha Facebook o Twitter mi mette un mi piace in questa pagina in alto a sinistra? grazie mille!
http://www.lab.leica-camera.it/jspleica/scheda.jsp?n=22683&v=1

venerdì 23 settembre 2011

Manuale alla fotografia digitale: 6.1 Variazioni della profondità di campo


La profondità di campo dipende dall’apertura del diaframma. Più si chiude il diaframma (per esempio f/11 al posto di f/8), più la profondità di campo aumenta. L’incremento è inversamente proporzionale alla lunghezza focale dell’obiettivo, per cui la profondità di campo con apertura f/11 su un obiettivo da 28mm è più ampia di quella con apertura f/11 su un obiettivo da 300 mm. La profondità di campo aumenta anche se il soggetto è lontano dalla fotocamera, mentre è limitata a distanze ravvicinate.
Usi della profondità di campo
Una profondità di campo estesa, dovuta a una piccola apertura del diaframma, a un grandangolare, a una messa a fuoco lontana o una combinazione di questi fattori, si usa per:
  • Paesaggi e vedute generali da grandangolare;
  • Strutture architettoniche, quando si vuole cogliere anche l’area di primo piano, per esempio la pavimentazione davanti a un edificio;
  • Interni, compresi i pezzi d’arredamento vicini, quelli lontani e l’ambiente in generale.
Come effetto secondario un diaframma chiuso riduce la luce parassita e migliora le prestazioni dell’obiettivo.
Una profondità di campo ridotta, associata a un diaframma aperto, lunghezza focale elevata, messa a fuoco ravvicinata o a una combinazione di questi fattori, limita l’area nitida ed è utile per:
  • Ritratti, per concentrare l’attenzione sul soggetto;
  • Ridurre il peso di elementi che non possono essere esclusi dal campo visivo dell’obiettivo;
  • Isolare il soggetto da elementi estranei.
Profondità simulata

Canon EOS-50 con obiettivo 28-105. Pellicola ISO 100. Scanner Nikon LS-1000
Un angolo di ripresa stretto dà una profondità di campo limitata: potete simulare l’effetto di un teleobiettivo dotato di una sorprendente profondità di campo tagliando l’inquadratura di un’immagine grandangolare. In questo caso, una scena ripresa con un obiettivo da 28 mm è stata rifilata come apparirebbe attraverso un obiettivo da 200 mm.


Messa a fuoco selettiva

Leica R6 con obiettivo 70-210 mm Pellicola ISO 50. Scanner Microtek 4000t.
Lo scatto di un teleobiettivo con il diaframma completamente aperto ha intenzionalmente lasciato il volto della ragazza completamente fuori fuoco. Una conseguenza non voluta è invece la fusione del colore tra primo piano e sfondo, che rende ogni correzione cromatica un’ardua impresa. È stato difficile anche ottenere un duplicato soddisfacente della diapositiva originale e anche la scansione ha richiesto parecchio lavoro correttivo. 


Soggetto decentrato
In casi come questo qua a destra, per evitare che la fotocamera imposti automaticamente la messa a fuoco a metà dell’inquadratura. Per scattare la foto basta semplicemente puntare la macchina sui ragazzi e poi successivamente ricomporre l’inquadratura. Pur con molta luce e una ripresa da lontano (100 m), la profondità di campo è limitata dalla lunghezza focale dell’obiettivo.
  • Canon EOS-1n  con obiettivo 100-400 mm con moltiplicatore di focale 1.4x. Pellicola ISO 100. Scanner Microtek 4000t.

martedì 20 settembre 2011

Manuale alla fotografia digitale: 6 Profondità di campo

Introduzione
La profondità di campo è lo spazio davanti e dietro il piano di messa a fuoco entro il quale gli oggetti appaiono ancora sufficientemente nitidi. È importante perché consente al fotografo di comunicare efficacemente le proprie idee visive. Può essere usata, per esempio, per dilatare lo spazio, per dare l’impressione di essere all’interno della scena o per sottolineare la separazione tra diversi elementi dell’immagine. 
Nella prima parte di questo manuale riguardante l'esposizione si è accennato come l'uso consapevole di tempi e diaframmi sia il primo passo nell'interpretare personalmente lo scatto. Riprendendo brevemente quanto detto riguardo ai tempi di scatto, si può affermare che a iso 100, con uno zoom standard (18-85 mm), i tempi di sicurezza sono quelli più brevi di 1/125; ciò consente di ottenere foto nitide nelle riprese di paesaggio, natura morta e ritratto. Nel momento in cui il soggetto e la fotocamera non sono fermi, entra in gioco il fattore mosso. Il tempo di scatto da utilizzare sarà funzione dell'effetto desiderato: si vuole mantenere nitidezza e congelare l'azione (avere quindi un soggetto fermo senza sfumature o altro)? Oppure si vuole restituire dinamismo, frenesia, velocità? Se si opta per la prima scelta i tempi di scatto dovranno essere tanto brevi quanto più il movimento relativo è accentuato: una persona che cammina si può bloccare a 1/125, due bambini che si lanciano una palla possono essere congelati da 1/250 ma la palla probabilmente sarà nitida solo a partire da 1/500. Così, una gara ciclistica od un'automobile in marcia lungo la strada potranno richiedere 1/1000; va considerato, infatti, anche come si muove il soggetto rispetto alla fotocamera: gli sta andando incontro oppure attraversa la perpendicolare al piano focale? Nel secondo caso il rischio di mosso sarà più elevato. 
Se si opta per la seconda scelta saranno i tempi lunghi a fare da padroni: 1/30 ad una partita di calcio, 1/15 ad un balletto o in mezzo al traffico dell'ora di punta, qualche minuto nella ripresa di un cielo stellato. Sperimentare con i tempi lunghi è decisamente stimolante e ci si può accorgere che gli effetti migliori li si ottengono con gli intervalli di esposizione più spinti.



Il secondo parametro a disposizione del fotografo sono i diaframmi, li si è paragonati ad un rubinetto: diaframmi aperti lasciano passare tanta luce, diaframmi chiusi ne lasciano passare poca; la loro funzione principale è regolare la profondità di campo, ovvero l'ampiezza della zona nitida davanti e dietro il piano di messa a fuoco. 

domenica 18 settembre 2011

manuale alla fotografia digitale: 5.1 panoramica - I filtri fotografici

I filtri più comuni per la fotografia digitale includono filtri UV polarizzanti (lineari o circolari), a densità neutra, a graduata densità neutra e filtri caldi o freddi o filtri colorati.

Che cosa sono i filtri fotografici? 

Si tratta di dispositivi che vanno applicati all’obiettivo e che permettono un maggiore controllo sulla tipologia di foto da scattare. Tramite il loro utilizzo è possibile ottenere miglioramenti, effetti speciali, modifiche.

A cosa servono
Vediamo alcune possibili applicazioni dei filtri fotografici:
Protezione dell’obiettivo: considerato il minoro costo di un filtro rispetto ad un obiettivo, molte persone applicano alla propria macchina, dei filtri fotografici, solo a scopo di protezione.
Correzione del colore: esiste la possibilità, tramite dei filtri colorati, di correggere o modificare totalmente i colori dell’esposizione.
Effetti speciali: con alcuni filtri è possibile ottenere degli effetti speciali. Si pensi, ad esempio, all’effetto “sfocatura” che è possibile applicare ai ritratti, per rendere più dolce e tenue l’immagine.

Tipologie

Se decidi di acquistare un filtro, ti troverai di fronte ad una vasta scelta e dovrai valutare l’utilizzo che intendi farne, la spesa che vuoi sostenere, e la tipologia di obiettivo di cui la tua macchina dispone. Potrai scegliere tra:

Filtri UV, antinebbia e protettivi: I filtri UV (o Skylight) riescono ad assorbire i raggi ultravioletti e dunque a preservare una buona qualità di foto in ambienti esterni. In generale, comunque, tutti e tre questi filtri sono destinati alla salvaguardia dell’obiettivo, tanto che non vengono quasi mai disinstallati dalla macchina, per assicurare una duratura protezione da nebbia, polvere, graffi, umidità.

Filtri polarizzatori: destinati alla riduzione della luce riflessa del sole e di altre forme di luce polarizzata, questi filtri si dividono in due tipologie: esistono quelli lineari, adatti alle macchine con messa a fuoco manuale, e quelli circolari, che invece vengono solitamente impiegati sulle macchine fotografiche con messa a fuoco automatica.

Filtri di correzione del contrasto e del colore: si tratta di filtri che servono ad aumentare la quantità di luce di un determinato colore, e di conseguenza a diminuire gli altri colori dello spettro. I filtri di correzione del contrasto e del colore più diffusi sono quelli di colore giallo, arancio, verde e rosso, ognuno dei quali utilizzato per ottenere un certo effetto ed una specifica modifica. Si pensi al filtro di colore giallo: esso è impiegato per le foto in bianco e nero e, aumentando l’intensità del giallo, consente di diminuire il contrasto tra le nuvole ed il cielo.

Filtri per fotocamere digitali: generalmente si applicano a fotocamere digitali filtri per la polarizzazione, per il bilanciamento della luce, per la protezione dell’obiettivo. Occorre tuttavia precisare che la maggior parte delle camere digitali include già al suo interno dei dispositivi per effettuare miglioramenti e modifiche (ad esempio il “bilanciamento del bianco”), ed inoltre offre la possibilità di intervenire anche nella fase di post- produzione, tramite il software di imaging digitale.

Filtri di conversione colore: si tratta di dispositivi in grado di produrre effetti di “raffreddamento” (tramite filtri di colore blu) e “riscaldamento”(tramite filtri di colore giallo chiaro) dell’immagine.
Filtri per fluorescenza: sono in grado di diminuire l’effetto di una fluorescenza eccessiva e in generale di correggere le immagini che presentano una luce innaturale.

Effetti speciali: esistono molteplici filtri in grado di produrre diversi effetti. Si pensi a Starburst, diffusore (o flou), Soft Focus, Fog filter ed altri.

Filtri Infrarossi: sono in grado di trasmettere la luce rilevata solo con le pellicole UV. Il loro utilizzo è connesso alla sorveglianza e alle applicazioni scientifiche. Non si tratta quindi di filtri di impiego comune.

Filtri neutral density: utilizzati per fotografare neve, sabbia o altri soggetti chiari, questi filtri a densità neutra si impiegano solitamente per scatti con tempi di posa lunghi, in luce ambiente.

Come applicarli sulla fotocamera
L’applicazione dei filtri fotografici può avvenire in diverse modalità, da scegliere a seconda delle proprie esigenze e delle particolari situazioni:

Filtri con viti: è il meccanismo più diffuso e semplice, che prevede l’avvitamento di un filtro a forma di anello sull’obiettivo. I formati dei filtri con viti sono molteplici: 52 mm, 58 mm, 62 mm, 67mm, 72 mm, 77 mm, ed altri ancora. Si valuti con attenzione che formato prediligere, a seconda del diametro dell’obiettivo della camera che si possiede.

Filtri ad inserimento: questi filtri vengono generalmente inseriti in un piccolo alloggiamento nei pressi della parte posteriore dell’obiettivo. Di solito i teleobiettivi lunghi con diametro ampio (pari o superiore a 300 mm) presentano al loro interno un facile sistema di inserimento.

Sistemi di filtri modulari: si tratta di un kit di diversi filtri, utilizzabile a seguito dell’installazione di un cassetto portafiltri davanti all’obiettivo. Il sistema di filtri modulari è adatto a chi possiede molte lenti di dimensioni e funzioni differenti e necessità dunque di un dispositivo piuttosto flessibile. Il costo di tali sistemi non è elevato e la scelta è abbastanza ampia: si possono trovare sistemi universali, così come specifici di una marca, sistemi grandi o piccoli e di differenti forme. Si specifica però che la forma più diffusa è senza dubbio quella quadrata. I modelli Canon, Fuji, Kodak, Minolta, Nikon, Olympus, Sony ed altri ancora propongono una vasta gamma di kit e set di filtri.

Anelli adattatori per filtri: se si possiede un filtro non compatibile con un obiettivo, si può ricorrere agli anelli adattatori, denominati anche “anelli riduttori”. Essi consentono di impiegare filtri più grandi con obiettivi più piccoli e viceversa, e presentano molti formati. Il formato viene indicato con una dicitura che si riferisce prima all’obiettivo e poi al filtro.

mercoledì 14 settembre 2011

manuale alla fotografia digitale: 5 Filtri per gli obiettivi

Con l'avvento della fotografia digitale e dei software di fotoritocco, i filtri hanno perso un po' della loro magia e nella vita di molti fotografi, sono stati sostituiti da cursori e pulsanti. Tant'è che molti fotografi del terzo millennio, specie quelli che si avvicinano per la prima volta ad una reflex, identificano i filtri con i vetri che servono a proteggere i costosi obiettivi, relegandoli ad un ruolo che poco si addice alle loro reali potenzialità. 
Ma come è vero che molti effetti sono perfettamente riproducibili al computer, in fase di post produzione, o addirittura già al momento dello scatto scegliendo tra le diverse impostazioni della macchina, è altrettanto vero che ci sono alcuni risultati che sono possibili solo con l'utilizzo del filtro giusto ed è per questo che alcuni fotografi, né nostalgici, né snob, né imbranati col pc, ma solo consapevoli dei risultati che possono ottenere, non escono mai senza avere il loro set in borsa. 
In questo articolo analizzeremo i filtri più comuni, il loro utilizzo e fino a che punto possono essere tranquillamente sostituiti dal computer. Cominciamo vedendo come agganciarli davanti al nostro obiettivo. Filtri a vite o filtri a lastra?




I filtri a vite, come dice il nome, si avvitano sulla filettatura frontale del nostro obiettivo senza pregiudicarne la maneggevolezza e consentono il normale utilizzo del paraluce. Possono tranquillamente essere montati in serie (uno sull'altro) permettendoci diverse combinazioni ma bisogna stare attenti a non esagerare con lo spessore perché potremmo rischiare di inquadrarne il bordo ai margini del fotogramma (specialmente sui grandangoli). 
Il grosso limite dei filtri a vite è che hanno un diametro fisso e quindi se cambiamo obiettivo, ed il diametro non corrisponde, il filtro non è più utilizzabile. Esistono degli anelli adattatori (da filtro grande ad attacco piccolo) ma sono scomodi e pregiudicano l'utilizzo del paraluce. I filtri a lastra, sono generalmente meno conosciuti e considerati molto più specialistici di quello che non sono nella realtà. Potrebbero essere anche utilizzati a mano, tenuti davanti all'obiettivo, ma per un uso più pratico ed efficace vengono inseriti in un porta filtri che si monta davanti all'obiettivo tramite un anello adattatore. Rispetto a quanto detto per i filtri a vite, nel caso di cambio di obiettivo, sarà sufficiente cambiare il solo anello adattatore mentre tutto il resto del sistema (filtri e porta filtri) resterà lo stesso. 
Comunque il vero vantaggio di un sistema di filtri a lastra è legato per lo più all'utilizzo dei filtri ND graduati, di cui parleremo in seguito. Ad ogni modo, una volta compreso il campo di utilizzo dei diversi filtri, potremo scegliere il sistema di aggancio più adatto alle nostre esigenze fotografiche. Ora passiamo ad analizzare i principali tipi di filtro in commercio.

I filtri protettivi 


Sono filtri neutri che hanno il solo compito di interporre una protezione tra il mondo esterno e la lente frontale dell'obiettivo. C'è chi li utilizza solo in condizioni estreme perché reputa che qualsiasi cosa di aggiunto davanti all'obiettivo possa pregiudicarne la resa e chi li utilizza sempre perché ritiene che un filtro di buona qualità non pregiudichi il risultato prodotto dall'ottica su cui è montato. C'è del vero in entrambe le linee di pensiero. Comunque un filtro di buona qualità ha una trasmissione della luce oltre il 99% ed un trattamento superficiale tale da limitare al minimo i riflessi e quindi una perdita qualitativa davvero impercettibile. Per questo la maggior parte dei fotografi opta per montarne uno, se non sempre, almeno nelle situazioni più rischiose.


UV e Sky light 



Sono filtri che bloccano le frequenze ultraviolette ed aiutano nelle situazioni in cui i raggi UV sono molto forti, come in montagna o al mare, a mitigare la generale sensazione di foschia restituendo brillantezza e calore ai colori. Poiché non hanno particolari controindicazioni vengono utilizzati molto spesso in sostituzione dei semplici protettivi. Nell'era dei sensori digitali c'è la tendenza a preferire l'UV rispetto allo Skylight (che ha una leggera dominante rosa).


Colorati


Questi filtri aggiungono all'immagine una dominante colorata e possono essere utilizzati sia per creare effetti artistici molto esagerati sia, in modo più naturale, per compensare o enfatizzare le tonalità di una scena. Per quest'ultimo scopo i due tipi più utilizzati sono i "warming" ed i "cooling" (riscaldanti e raffreddanti) nei diversi gradi d'intensità. Nell'esempio successivo vediamo come influiscono (riscaldando o raffreddando) sulla temperatura colore di una scena.



Questi tipi di filtro sono facilmente riproducibili direttamente al momento dello scatto, agendo sul bilanciamento del bianco, o in seguito in post produzione se ci accorgiamo che il risultato non ci soddisfa del tutto. Seppur apparentemente un contro senso, i filtri colorati vanno molto d'accordo anche con il bianco e nero, permettendo di enfatizzare determinate tonalità dell'immagine (cielo, alberi, pelle, capelli, ecc..)
Anche in questo caso sono facilmente applicabili sia al momento dello scatto con le impostazioni di molte fotocamere sia in post produzione. Prima di utilizzarli direttamente al momento dello scatto è utile capire come modificano i toni. Nel dubbio, è preferibile applicarli in seguito al computer. Vediamo nell'immagine d'esempio come cambia la tonalità dell'incarnato o dei capelli a seconda del filtro applicato.



IR (infrarosso) 

Appartengono anche loro alla famiglia degli inibitori di frequenze e, facendo passare solo alcune lunghezze d'onda, modificano in modo sostanziale i colori, rendendoli davvero interessanti da un punto di vista artistico. Si scontrano un po con i filtri anti-IR presenti sui sensori, tant'è che chi vuole fare seriamente fotografia ad infrarosso pensa anche ad una modifica diretta del sensore per ottenere risultati ottimali. 
Seppur complesso ed approssimativo, l'effetto è riproducibile anche in post produzione con i software di fotoritocco.




Creativi 

Ci sono molti filtri che creano effetti particolari come gli star, i soft, i multiply, ecc. e per la maggior parte sono riproducibili con più o meno sforzo al computer, in post produzione. Ad ogni modo, se non si ha voglia o tempo di stare davanti al monitor del pc per ricrearli, questi filtri non costano molto e può valere la pena di provarli.


Polarizzatore



Il filtro per eccellenza, il più rispettato da qualunque fotografo anche se non lo consce bene, non lo usa o non ne sente l'esigenza per il tipo di foto che fa. Il polarizzatore riesce magicamente a bloccare la luce riflessa dalle superfici come vetro o acqua restituendo i colori e consentendo di vedere attraverso la superficie. Permette anche di ravvivare i toni del cielo assorbendo la luce riflessa dal vapore acqueo presente nell'aria. 
Il filtro polarizzatore è l'unico filtro che non è possibile applicare in post produzione e ne esistono di due tipi, circolare e lineare. Esteticamente e funzionalmente simili, differiscono nel modo in cui agiscono sulle lunghezze d'onda e, senza entrare in tecnicismi, per non creare problemi agli esposimetri delle moderne reflex si deve utilizzare il polarizzatore circolare. Venduto quasi esclusivamente nella versione a vite (si può trovare a lastra ma è davvero scomodo da utilizzare), è composto da due parti: quella posteriore, che si avvita sull'obiettivo e quella anteriore, che ruota liberamente a 360 gradi per premettere di trovare l'effetto desiderato. Il massimo effetto polarizzante si ottiene quando la luce è laterale rispetto al punto di ripresa e, poiché le condizioni di luce variano da scatto a scatto, il filtro polarizzatore va regolato (ruotandolo) per ottenere l'effetto di assorbimento desiderato. 


Da tenere presente che, proprio per questo suo funzionamento, l'utilizzo del polarizzatore con obiettivi che hanno la lente frontale che ruota durante la messa a fuoco, risulta molto scomodo. Un altro limite del polarizzatore, dovuto sempre alle sue caratteristiche intrinseche, emerge nell'utilizzo delle ottiche grandangolari spinte che, avendo un campo visivo particolarmente ampio (>90°), non permettono un effetto polarizzante omogeneo su tutta la scena inquadrata perché l'incidenza della luce varia significativamente da un lato all'altro del fotogramma. Nelle immagini che seguono, possiamo apprezzare l'effetto del polarizzatore sull'acqua e sul vapore acqueo presente nell'aria.


ND (neutral density) 


Un semplice filtro grigio che non inserisce alcuna dominante cromatica (neutro per l'appunto) ma ha solo il compito di assorbire la luce. Mettere un ND da 1 stop davanti all'obiettivo ha lo stesso effetto di dimezzare il tempo d'esposizione ma ci sono molte condizioni in cui non possiamo o non vogliamo ridurre il tempo di scatto ed è uno dei motivi principali per cui ritroviamo gli ND nelle borse di molti fotografi. Da un punto di vista tecnico, il filtro ND è facilmente riproducibile al computer perché, di fatto, genera una semplice riduzione dell'esposizione. Quello che non è sempre riproducibile in post produzione è l'effetto artistico che si può produrre aumentando il tempo di esposizione al momento dello scatto. Nelle immagini seguenti vediamo come un tempo d'esposizione prolungato da "vita" all'acqua creando la sensazione di movimento.





NDG (neutral density - graduated) 


Gli NDG sono esattamente come gli ND ma "lavorano" solo su una parte del fotogramma. A seconda di come avviene la transizione tra la parte scura e quella chiara, si dividono in "soft edge" (transizione morbida), "hard edge" (transizione netta) e "reverse grad" (doppia transizione, netta verso il centro e molto morbida verso il bordo del filtro). Esistono sia nella versione a vite che in quella a lastra ma quella a lastra è nettamente più utilizzata e versatile, in quanto consente di spostare la linea di transizione nel punto del fotogramma che preferiamo. In quelli a vite la transizione sarà sempre nel mezzo condizionando le possibilità di composizione dell'inquadratura. 


I filtri ND graduati sono particolarmente apprezzati dai fotografi paesagisti ed i loro risultati possono essere interamente riprodotti al computer solo con tecniche avanzate come la multi esposizione o l'HDR. Ma quando servono? E perché può essere utile dividere la scena, filtrandone solo una parte? Rispondiamo a queste domande analizzando delle tipiche situazioni fotografiche, i problemi che comportano e come i filtri NDG possono aiutare il fotografo. 
Ci sono situazioni in cui fotografiamo soggetti che presentano differenze di luminosità (gamma dinamica) abbastanza contenute e comunque nei limiti delle possibilità di latitudine del sensore (circa 8EV). Osserviamo come l'istogramma dell'esempio qui sotto riporta valori tendenti al centro che indicano una bassa gamma dinamica ed un utilizzo del sensore "entro i limiti". 



Al contrario, ci sono altri casi in cui la gamma dinamica del soggetto è superiore a quella registrabile dal sensore e non riusciamo a registrare tutta la scena, ritrovandoci inevitabilmente con zone, chiare o scure, prive di dettaglio. Nell'esempio un tipico tramonto in cui possiamo osservare un istogramma con picchi forti ai margini destro e sinistro che rappresentano rispettivamente le alte luci e le ombre. 
Le zone al margine dell'istogramma non presentano più dettaglio e sono praticamente bianco pieno e nero pieno. 


In condizioni come quella appena descritta possiamo scegliere se scattare tenendo un valore medio, privilegiare la parte scura trascurando le alte luci o privilegiando la zona chiara chiudendo le ombre (come accade nelle silhouette). Di seguito alcuni scatti puramente esemplificativi e senza alcuna pretesa artistica.. 






Se non siamo soddisfatti della scelta al momento dello scatto, con un software di fotoritocco e magari scattando in RAW, abbiamo comunque la possibilità di recuperare qualcosa anche in post produzione, sia agendo sull'esposizione totale, sia agendo solo su una parte del fotogramma, come se avessimo montato un filtro ND graduato. Riprendiamo il nostro scatto con esposizione media ed osserviamo l'istogramma. 
Possiamo vedere come sia la zona di destra che quella di sinistra sono popolate fino al margine. Da questo possiamo dedurre facilmente che nella foto sono presenti zone senza dettaglio sia chiare che scure. 


Ipotizzando che non vogliamo solo recuperare le zone chiare o quelle scure (intervenendo sull'esposizione complessiva) ma vogliamo recuperare il più possibile, possiamo agire solo sulla parte chiara del cielo (come avremmo fatto con un filtro davanti all'obiettivo al momento dello scatto) per ridurre la gamma dinamica presente nell'immagine. Quindi, con il programma di fotoritocco, simuliamo un filtro NDG hard edge di 1,5 stop, posizionato sulla linea dell'orizzonte, che agisce quindi sul nostro cielo. 

Il risultato non è male ed abbiamo recuperato buona parte dei dettagli del cielo e delle nuvole senza influire sulla parte inferiore del fotogramma. Il problema è che alcuni dettagli del cielo sono andati irrimediabilmente persi perché il sensore, anche scattando in raw, riesce a registrare circa uno stop di margine. Questo significa che un'applicazione di un filtro digitale più forte porterebbe solo ad un progressivo "ingrigimento" dei bianchi ma non gli ridarebbe dettagli che il sensore non è stato in grado di catturare. Stesso discorso vale per le ombre. 
Nel prossimo esempio utilizziamo un filtro ND graduato, dello stesso valore (1,5 stop), al momento dello scatto per ridurre la gamma dinamica a monte, permettendo così al sensore sia di registrare più dettagli, sia di lasciarci ancora il margine (1 stop) per successivi interventi in post produzione per un aggiustamento fine. 


Come possiamo osservare dal dettaglio di confronto qui sotto, a parità di fattore filtrante (1,5 stop) l'NDG rispetto al computer ci permette di conservare maggior dettaglio sia nelle alte luci che nelle ombre perché la riduzione di gamma dinamica a monte ha consentito al sensore di lavorare più entro i suoi limiti fisici. 



Siamo giunti alla fine di questo breve viaggio nel mondo dei filtri che, sebbene non esaustivo, ci ha fatto conoscere più da vicino questo accessorio dal sapore di passato e magari ha offerto anche degli spunti per sperimentare qualcosa di diverso nelle prossime uscite con la macchina al collo. 

I filtri fotografici hanno molto spesso usi differenti nella fotografia digitale e potrebbero far parte delle attrezzature da portarsi sempre dietro. 

Tra le attrezzature possiamo trovare le lenti polarizzate per ridurre il bagliore e per aumentare la saturazione, o semplicemente dei filtri UV per aumentare la protezione delle lenti. L’obbiettivo di questo capitolo è quello di familiarizzare con uno di questi filtri che non possono essere riprodotti usando delle tecniche di editing digitale. I problemi comuni e gli svantaggi e le dimensioni dei filtri sono discussi sotto.

martedì 13 settembre 2011

manuale alla fotografia digitale: 4.1.4 Influenza dell’apertura focale o f

La gamma di aperture disponibili in un obiettivo si riferisce a quanto è possibile aprire o chiudere l’iride dell’obbiettivo e quindi alla quantità di luce che può o meno entrare nello stesso. Le aperture che sono elencate in termini di f-stop, descrivono, l’area di raccolta della luce (raffigurato sotto).

Nota: Questi valori sono indicativi,
l’apertura focale è raramente un cerchio perfetto.
Si noti che le aperture del diaframma più grandi sono definite con valori di f bassi (spesso ciò crea molta confusione). Questi due termini sono spesso erroneamente scambiati, nel resto di questo manuale ci si riferisce alle lenti in termini di dimensione di apertura. Lenti co più n grandi aperture sono anche descritte come “più veloci”, perché per una data velocità ISO, la velocità dell'otturatore può essere maggiore ottenendo la stessa esposizione. Inoltre, un diaframma più piccolo significa che gli oggetti possono essere messi a fuoco su una gamma più ampia di distanza, un concetto chiamato profondità di campo.



Quando si sta valutando l'acquisto di un obbiettivo, si deve guardare il massimo (e forse anche minimo) tra le aperture disponibili. Obiettivi con una gamma più ampia di impostazioni di apertura garantire una maggiore flessibilità artistica, sia in termini di opzioni di esposizione che di profondità di campo. L'apertura massima è forse la cosa più importante da controllare (spesso è indicato sulla confezione con lunghezza focale [s]).


Un numero di f X può anche essere visualizzato come 1: X (al posto di F/X), come illustrato di seguito per l'obiettivo Canon 70-200 f/2.8 (la cui scatola è anche mostrato in precedenza f / 2,8).



Se si vuole fare un ritratto o una fotografia sportiva, in un teatro o comunque all’interno, è sempre meglio avere lenti con aperture massime di grandi dimensioni, per essere capaci di una profondità di campo più ristretta o una velocità dell'otturatore maggiore. La ridotta profondità di campo in un ritratto aiuta a isolare il soggetto dal background (sfondo). Per le fotocamere reflex digitali, obiettivi con aperture massime più grandi offrono significativamente immagini più luminose - eventualmente possono essere critiche per la notte o una fotografia con scarsa illuminazione. Spesso hanno una messa a fuoco automatica più veloce e accurata in condizioni di luce scarsa. La messa a fuoco manuale è anche più facile perché l'immagine nel mirino ha una profondità di campo più ristretta(rendendo così più visibile quando gli oggetti entrano o no fuori messa a fuoco).



Le aperture minime per le lenti sono in genere neanche lontanamente importanti quanto aperture massime. Ciò è dovuto soprattutto perché le aperture minime sono raramente utilizzate perché causano delle foto sfocate per colpa della diffrazione dell’obiettivo e perché queste possono richiedere tempi di esposizione eccessivamente lunghi. Per i casi in cui si voglia un’estrema profondità di campo e quindi minore apertura (numero f massimo) per consentire una più ampia profondità di campo. 
Infine, alcuni obiettivi zoom sulle reflex digitali e sulle fotocamere digitali compatte spesso elencano una serie apertura massima, perché questo può dipendere da quanto si stia usando lo zoom dell’obbiettivo. Questi intervalli di apertura, riguardano quindi solo la gamma di massima apertura, non quella complessiva. Una gamma di f/2.0-3.0 significa che l'apertura massima disponibile cambia gradualmente da f / 2,0 (senza l’utilizzo dello zoom) a F/3.0 (a pieno zoom). Il vantaggio principale di avere un obiettivo zoom con apertura massima costante è che le impostazioni di esposizione sono più prevedibili, a prescindere dalla lunghezza focale. 
Si noti inoltre che solo perché l'apertura massima di un obiettivo non può essere utilizzata, questo non significa necessariamente che questo obiettivo non vada bene. Lenti che in genere hanno un minor numero di aberrazioni quando eseguono l'esposizione si fermano uno o due f-stop dalla loro massima apertura (come l'utilizzo di f/4.0 su un obiettivo con apertura massima di f / 2,0). Si può quindi dire che se uno voleva una qualità fotografica migliore,  obbiettivi con il numero di f minimo di f/2.8, f/1.4 o f/2.0 possono produrre una foto superiore rispetto a un obiettivo con apertura massima di f / 2,8. 
Altre considerazioni includono costi, dimensioni e peso. Obiettivi con aperture massime più grandi sono in genere molto più pesanti, più grandi e più costosi. Il rapporto tra dimensioni e peso può essere critico per il trekking e la fotografia di viaggio, perché tutti questi utilizzano spesso obbiettivi più pesanti, o che richiedano di trasportare attrezzature per lunghi periodi di tempo.

venerdì 9 settembre 2011

manuale alla fotografia digitale: 4.1.3 Lenti grandangolari e lenti tele

Un obiettivo zoom è quell’obbiettivo in cui il fotografo può variare la lunghezza focale in un range predefinito, mentre ciò non può essere cambiato con un obiettivo con lunghezza focale fissa. Il vantaggio principale di un obiettivo zoom è che è più facile realizzare una serie di composizioni o di punti di vista (dato che non è necessario cambiare obbiettivo). Questo vantaggio è spesso critico per la dinamica del soggetto, come nel fotogiornalismo e nella fotografia per bambini. 
Tenete a mente che l'utilizzo di un obiettivo zoom non significa necessariamente che uno non deve più cambiare la sua posizione; lo zoom aumenta solo la flessibilità. Nell'esempio riportato di seguito, la posizione iniziale è mostrata con due alternative usando un obiettivo zoom.






Perché uno dovrebbe intenzionalmente limitare le loro opzioni usando un obiettivo fisso? Le lenti fisse esistevano molto prima che gli zoom fossero disponibili, e ancora offrono molti vantaggi rispetto alle controparti più moderne. Quando gli zoom sono arrivati sul mercato, uno spesso doveva essere disposto a sacrificare una quantità significativa di qualità ottica. Tuttavia, adesso, gli zoom di fascia alta generalmente non producono qualità d'immagine nettamente inferiore, a meno che non vengano controllati da un occhio allenato (o in una stampa di grandi dimensioni). 
I principali vantaggi delle lenti fisse sono in termini di costi, peso e velocità. Un obiettivo economico fisso può fornire generalmente una buona (o migliore) qualità d’immagine come un grande zoom. Infine, le lenti migliori offrono quasi sempre una migliore capacità di raccolta della luce (massima apertura) rispetto a un più veloce zoom spesso critico per gli sport con luce scarsa o per fotografia di teatro e quando una profondità di campo è necessaria. 
Per le fotocamere digitali compatte, gli obiettivi elencati mediante un 3x, 4x, ecc si riferiscono al rapporto tra la lunghezza focale più lunga e quella più breve. Di conseguenza, un maggiore zoom, non significa necessariamente che l'immagine può essere ingrandita di più (dal momento che lo zoom può solo avere un angolo di visuale più ampio quando è alla massima lunghezza focale). Inoltre, lo zoom digitale non è la stessa cosa di uno zoom ottico, in quanto lo zoom digitale aumenta l’ingrandimento in maniera artificiosa riducendo quindi notevolmente la qualità dell’immagine. 

mercoledì 7 settembre 2011

Cortometraggio

Tra un capitolo e l'altro del manuale e foto in giro, si creano anche dei video!
Buona visione

venerdì 2 settembre 2011

manuale alla fotografia digitale: 4.1.2 Lunghezza focale e foto senza cavalletto

La lunghezza focale di un obiettivo potrebbe anche avere un impatto significativo su come è facile realizzare una fotografia nitida senza l’utilizzo di un cavalletto. Lunghezze focali più lunghe richiedono tempi di esposizione più brevi per ridurre al minimo la sbavatura causata da una mano incerta. Pensate a questo come se si cercasse di mantenere un puntatore laser costante, quando il puntatore punta ad un oggetto vicino, il suo punto luminoso si muove di meno rispetto a che si punti ad un oggetto lontano.


Ciò è dovuto soprattutto alle leggere vibrazioni di rotazione che vengono ingrandite notevolmente con la distanza.


Una regola comune per stimare la velocità dell'esposizione per una determinata lunghezza focale è la regola più della lunghezza focale. Questo indica che, per una fotocamera 35 mm, il tempo di esposizione deve essere almeno come la lunghezza focale. In altre parole, quando si usa un 200 mm di focale su una fotocamera 35 mm, il tempo di esposizione deve essere di almeno 1 / 200 secondo - altrimenti l’offuscamento può essere difficile da evitare.
Tenete a mente che questa regola è solo un'orientamento di massima, alcuni potrebbero essere in grado di tenere la mano ferma per tempi molto più lunghi o più brevi di queste stime. Per gli utenti di fotocamere digitali con sensori ridotti, si ha la necessità di convertire in una lunghezza focale equivalente a 35 mm.