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giovedì 29 settembre 2011

Manuale alla fotografia digitale: 6.2 messa a fuoco


La luce riflessa o emessa da ogni punto di un soggetto si irradia, e i raggi catturati dall’obiettivo della fotocamera sono proiettati sul piano focale e producono un’immagine capovolta e rovesciata. Il soggetto risulta nitido olo se i raggi luminosi si intersecano in maniera precisa sul piano della pellicola (il che si ottiene regolando la ghiera di messa a fuoco). Altrimenti, i raggi si registrano come macchioline e non come punti. Se l’immagine è abbastanza piccola, anche le macchioline possono sembrare nitide, ma più il piano focale si allontana dal piano della pellicola, più le macchioline registrate dalla fotocamera si allargano, fino a ottenere un’immagine irrimediabilmente sfocata.
Autofocus
Esistono principalmente due tipi di autofocus. Le fotocamere compatte usano un raggio infrarossi (IR) che esamina la scena quando si preme il pulsante di scatto. I raggi infrarossi riflessi più vicini e più forti sono rilevati da un sensore, che calcola la distanza del soggetto e imposta la fotocamera una frazione di secondo prima che l’immagine sia registrata.
Il secondo sistema è l’autofocus “passivo”. La luce riflessa dal soggetto è in parte campionata e scomposta, ma solo le zone dell’immagine a fuoco coincidono, ovvero sono “in fase”. La proprietà basilare di questo sistema è che le differenze di fase variano se il fuoco cade davanti o dietro il piano focale. Il sensore autofocus analizza la situazione e suggerisce all’obiettivo come muoversi per ottenere la messa a fuoco ottimale.
I dispositivi autofocus sono sofisticati, ma non infallibili, soprattutto in particolari situazioni:
  • Il sensore autofocus si imposta al centro dell’immagine, quindi se il soggetto non è al centro dell’immagine rischia di non essere messo a fuoco correttamente. In questo caso basta mettere a fuoco il soggetto quando è al centro dell’inquadratura premendo a metà il pulsante di scatto e solo successivamente cambiare inquadratura.
  • Se fotografate attraverso un vetro, i suoi riflessi possono confondere un sensore ad infrarossi.
  • Oggetti molto brillanti nella zona di messa a fuoco, come riflessi metallici, possono sovraccaricare il sensore e compromettere il risultato.
  • Fotografare al di là di oggetti vicini all’obiettivo, per esempio oltre a un cespuglio o tra i paletti di uno steccato, può confondere il sistema autofocus. 
  • È più facile mantenere a fuoco soggetti vicini in movimento impostando la distanza manualmente e di conseguenza regolando la propria posizione avanti o indietro.
  • Con soggetti che si muovono molto velocemente, è meglio impostare la messa a fuoco a una distanza predefinita e aspettare che il soggetto raggiunga il punto giusto per scattare.
Distanza iperfocale
L’impostazione della messa a fuoco sulla distanza iperfocale garantisce la massima profondità di campo disponibile alle diverse aperture. La distanza iperfocale è la minima a cui un oggetto risulta ancora nitido con l’obiettivo regolato su infinito. Più il diaframma è aperto, più la distanza aumenta. Con le fotocamere con messa a fuoco solo automatica non si può intervenire manualmente, mentre una fotocamera manuale impostata sulla distanza iperfocale garantisce di avere tutto a fuoco nella fascia più ampia consentita dall’obiettivo.



Effetti dell’apertura del diaframma
Il motivo principale per cui si cambia l’apertura del diaframma è per poter regolare l’esposizione. Infatti con un’apertura più piccola si restringe il raggio di luce che attraversa l’obiettivo. L’apertura influenza però anche la profondità di campo. Impostando un’apertura più piccola, il cono di luce che attraversa l’obiettivo si assottiglia. Di conseguenza, anche se non perfettamente a fuoco, la luce dal soggetto non si propaga come farebbe con aperture più larghe e gran parte della scena nel campo visivo risulta a fuoco. L’illustrazione mostra come, a parità di lunghezza focale e di  distanza del soggetto, la profondità di campo con un’apertura a f/2.8 sia appena sufficiente per mettere a fuoco la figura, a f/8 aumenta a 2 m e a f/22 si estende da 1,5 m all’infinito.
Effetti della lunghezza focale
La variazione di profondità di campo legate alla lunghezza focale sono dovute all’ingrandimento dell’immagine. Con la figura a distanza costante dalla fotocamera, una lunghezza focale lunga (135 mm) la registra con una dimensione più grande di un obiettivo standard (50 mm), il quale, a sua volta, permette di ottenere un’immagine più grande di un grandangolare (come per esempio un 28 mm).  Per il nostro occhio, la dimensione della figura resta la stessa, però per il sensore o la pellicola, le sue immagini variano in funzione alla focale dell’obiettivo. Se i dettagli nell’immagine sono più piccoli è più difficile capire dove sono nitidi e dove no. Come effetto, la profondità di campo sembra maggiore. Al contrario, le lunghezze focali più elevate ingrandiscono l’immagine e nello stesso modo ingrandiscono le differenze di messa a fuoco, per cui la profondità di campo si riduce notevolmente.
Effetti della distanza di messa a fuoco
Due fattori contribuiscono alla grane riduzione di profondità di campo via via che la distanza dal soggetto diminuisce, pur restando invariate lunghezza focale e apertura. Il primo fattore è dovuto all’ingrandimento dell’immagine: mentre la figura riempie sempre di più l’inquadratura, anche piccole differenze in profondità del soggetto implicano piani di messa a fuoco diversi. In effetti si deve lavorare di più con l’obiettivo per mettere a fuoco soggetti lontani. Il secondo fattore, meno evidente ma importante, è che la lunghezza focale effettiva aumenta leggermente quando la lente dell’obiettivo è più distante dal piano focale, quando cioè si mettono a fuoco soggetti ravvicinati.

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